Collezione Villa Vigarani Guastalla
Marca Corona presenta per la prima volta al grande pubblico la collezione Villa Vigarani Guastalla, 250 pezzi ceramici unici
Dal 24 Luglio fino al 2025, presso Palazzo Ducale di Sassuolo sarà possibile visitare la mostra Tra Corte e Fabbrica: la storia della ceramica di Sassuolo. L'esposizione è promossa da Ceramiche Marca Corona in collaborazione con Gallerie Estensi di Modena, che hanno messo a disposizione due sale ad accesso gratuito all’interno del Palazzo Ducale di Sassuolo per accogliere l’esposizione e permettere a tutta la cittadinanza sassolese e i visitatori internazionali di scoprire questa preziosa raccolta artistica.
L’acquisizione della collezione Villa Vigarani Guastalla da parte di Marca Corona nasce dalla volontà di proseguire il progetto di valorizzazione del patrimonio ceramico sassolese, già intrapreso con l’inaugurazione nel 2010 del Museo Aziendale “Galleria Marca Corona”.
Sale Espositive di Palazzo Ducale dedicate alla Mostra Tra Corte e Fabbrica
La raccolta in esposizione a Palazzo Ducale, nata dallo spirito pioneristico dell'imprenditore ceramico e collezionista Villiam Tioli e dal contributo dello studioso Francesco Liverani, racchiude al suo interno pezzi unici, rappresentativi della produzione locale di maiolica, di cui Marca Corona è stata uno dei primi e principali interpreti. Con questa acquisizione artistica Marca Corona ha potuto riunire numerosi pezzi appartenenti alla propria storia, che vanno ora a completare la raccolta di oggetti ospitati all’interno del Museo Aziendale, creando così un percorso ideale tra Corte e Fabbrica e fornendo una panoramica completa sulla storia del distretto ceramico, nonché di Marca Corona.
Inaugurazione Mostra Tra Corte e Fabbrica
24 Luglio 2020
“Il duplice percorso tra Corte e Fabbrica permette al pubblico di avere una visione approfondita e completa della storia del nostro distretto, unendo il patrimonio genetico aziendale a una collezione privata rappresentativa della produzione del territorio.
Il nostro compianto presidente professor Cirillo Mussini, promotore del Museo Aziendale a lui dedicato, sarebbe orgoglioso di questa iniziativa che arricchisce il valore storico della nostra collezione e rafforza ulteriormente la collaborazione di Marca Corona con il territorio” ha dichiarato Lelio Poncemi, Amministratore delegato di Ceramiche Marca Corona, presente all’Inaugurazione ufficiale tenutasi il 24 Luglio 2020 alla presenza delle Autorità locali.
L’esposizione si compone di oltre 250 pezzi unici, realizzati tra la metà del Settecento e i primi anni del Novecento dalle migliori maestranze del territorio sassolese: questi cimeli mostrano l'evoluzione della produzione locale e delle destinazioni d'uso della ceramica nella vita quotidiana, sottolineando il costante dialogo tra passato e presente, tra creatività e innovazione, alla scoperta delle storie del territorio.
Sala 1: Il Dallari
Sala 1: Il Dallari
Buongiorno e benvenuti!
I musei non sono solo luoghi di contemplazione della bellezza, ma espongono la vita e incarnano la storia.
È il caso di questa raccolta di 250 manufatti che rivela la produzione sette-ottocentesca di ceramica bianca e decorata di area sassolese.
Percorrendo le sale, all’interno di tredici teche, alcuni pregiati manufatti vi racconteranno l’evoluzione stilistica e tecnologica della più antica manifattura fondata a Sassuolo.
Una manifattura che nasce nel 1741 da una società per azioni composta da borghesi e da alcuni nobili fortemente sostenuta dal duca Francesco III d’Este che proprio negli stessi anni promuove i restauri di questa residenza, ampliandone il grande parco, e il rinnovo edilizio dell’abitato sassolese. Questa manifattura passa poi alla famiglia Dallari che, dopo tre generazioni, la cede al conte Ferrari Moreni. Più tardi, durante gli anni che annunciano l’unità d’Italia, viene ceduta alla famiglia Rubbiani. È grazie a loro se la produzione passa da pezzi con un’anima più artistica a quelli con una più industriale. I Rubbiani, infatti, si dedicano, tra i primi se non i primi in Italia, alla realizzazione di rivestimenti e pavimentazioni.
Superato il grande atrio d’ingresso che s’affaccia sulla corte d’onore, vi trovate in quello che, a metà del Settecento, faceva parte dell’appartamento di rappresentanza del principe ereditario, poi, duca Ercole Rinaldo III d’Este. Da qui prende il via il nostro viaggio.
Sala 1: Il Dallari
Teca 1
Cominciamo con un mezzo catino datato al XIII secolo, esposto al livello superiore, esempio di produzione di terracotta povera tipica dei mastri vasari, detti anche boccolari.
Una produzione molto semplice, sviluppata con l’arrivo a Sassuolo di oggetti di una certa qualità, prodotti altrove e contraddistinti da scudi araldici, decori geometrici, floreali e zoomorfici, graffiti a stecca e ornati a pennello con ossidi di metallo.
L’emancipazione da questa tipologia produttiva si ha con Francesco III d’Este, duca di Modena, Reggio e Mirandola, che a metà Settecento concede a un gruppo di privati di Sassuolo il monopolio per produrre “Majolica ordinaria bianca e dipinta”. L’impresa non dura a lungo e viene ceduta a Giovanni Maria Dallari. Uomo pragmatico, introduce accorgimenti per sveltire i processi e chiama a lavorare per lui operai imolesi, faentini e lodigiani depositari “del segreto speciale del bianco e della vernice…”.
La produzione monocroma è senza alcun dubbio una delle meglio riuscite e di più ampio successo dei Dallari.
Vassoi con eleganti prese a pinna di pesce, fondine e piatti da coltello o da portata, zuppiere e rinfrescatoi attestano la varietà di generi che caratterizza la loro produzione.
Al centro, emerge l’importante pezzetta da camino che risale agli anni Settanta del Settecento. Se volete approfondire la storia di questo oggetto… LA FABBRICA A CORTE.
Il decoro delle ceramiche ha una propria storia e un suo percorso evolutivo che segue mode e schemi spesso introdotti da pittori girovaghi apparsi a Sassuolo come meteore.
Con forme che troveremo descritte nel catalogo Dallari, il percorso presenta ceramiche a “grande fuoco”, decori come quello detto “dell’uccellino” e quello chiamato “mazzolino con steli fioriti ricadenti”.
Teca 2
Nel corso degli anni la produzione migliora. La fabbrica raggiunge eccellenti risultati commerciali e una certa originalità artistica. Giovanni Maria Dallari chiama accanto a sé il figlio Giovanni, che accoglie, rientrato da Pesaro dove per anni ha lavorato e raggiunto notorietà, l’amico pittore Pietro Lei, e un altro grande ceramista - il bolognese, d’origine viennese, Leopoldo Finck.
Sul secondo ripiano è presentata una tipologia decorativa detta “a fiori alla francese”. È un servizio che rivela molte affinità con la produzione della Manifattura Levantino di Empoli, fino a qualche anno fa poco nota, ma oggi oggetto di approfondimenti critici e attributivi.
Negli ultimi ripiani è esibito invece un altro servizio con due zuppiere e un raffinato rinfrescatoio per bottiglie caratterizzato da un esuberante motivo color porpora detto “dei fiori e foglie stretti da nastro”. Se volete saperne di più… UN CALICE DI VINO.
Teca 3
Nella terza teca sono esposti più modelli e più forme ornamentali. La decorazione meglio rappresentata è quella con “fiori e rocaille” a cui si aggiungono, in alcuni esemplari, figure intere o a mezzo busto.
Tra queste ceramiche spiccano i pezzi che si possono assegnare al livornese Pietro Giraud. La sua eleganza è esemplificata dal vassoio costolonato, dai due grandi vasi decorati a ghirlande e teste di caprone e, soprattutto, dalla pesciera. Se volete scoprire i segreti di questo magnifico pezzo… QUANDO LA BELLEZZA IMITA LA NATURA.
L’ultimo ripiano esibisce un buon numero di piatti, vassoi, vasetti da fiori a “tromba”, portampolle in maiolica bianca decorata “a rametti fioriti” o “a fiorellini diversi”.
Teca 4
Con il rientro di Pietro Lei da Pesaro, dove aveva acquisito larga fama lavorando come “primo pittore” presso la manifattura Casali e Callegari, a Sassuolo si fanno strada ulteriori forme e decori. Tra questi i piatti centinati e ornati al “ticchio” o al “ticchiolo” che si possono ammirare sul primo ripiano. Il motivo deve il nome al tralcio di viticcio che, partendo da una base rocciosa, sostiene un rampicante con tre fiori aperti. Si tratta di un tema ornamentale legato alla moda del tempo che chiedeva maioliche ispirate all’Oriente, soprattutto il Giappone. Con molta probabilità questo decoro fu introdotto proprio da Pietro Lei.
A lui vanno ascritti, tra gli altri, i due piatti, di cui uno a forma ovale di dimensione insolita, presenti sul primo ripiano.
Di grande pregio è pure il vassoio dal contorno orlato con prese a “pinna” che fa parte di una raccolta “fiori e figura”, genere che si trova anche nel tariffario di fabbrica. Se volete saperne di più… DI FIORI E ALTRE MERAVIGLIE.
Al centro si trova una delle più belle marescialle della produzione sassolese. IL VASSOIO PIÙ BELLO DEL REAME.
Come accaduto con Pietro Lei, l’arrivo a Sassuolo, nel 1788, di Leopoldo Finck segna un’altra importante metamorfosi, ad esempio, l’introduzione della tecnica del “piccolo fuoco”, detto anche “terzo fuoco”, come chiarito nelle pagine del “libretto dei segreti”, ora esposto alla Galleria Marca Corona. Gli esiti sono riconoscibili nella bella serie di eleganti ceramiche esposte sull’ultimo ripiano.
Sala 1: Il Dallari
LA FABBRICA A CORTE
Pezzetta da camino, mezza maiolica o faenza ingobbiata e verniciata, anni ’70 del Settecento
(Produzione Fabbrica Dallari)
Anno 1753. Una nota d’archivio racconta che di simili a questa pezzetta ne sono state consegnate 283, dipinte a mano, per i camini dell’Appartamento Stuccato del Palazzo ducale di Sassuolo.
A realizzarle la fabbrica di ceramica gestita da Giovanni Maria Dallari. Siamo agli esordi della storia della manifattura, un periodo in cui Francesco III d’Este gli ha appena concesso il monopolio per realizzare “Majolica ordinaria bianca e dipinta”.
Questo genere di mattonelle ha rappresentato un prodotto di successo replicato, con varianti, per decenni.
Non siamo però di fronte a una maiolica, ma a una terracotta ingobbiata e verniciata. Significa che prima veniva rivestita di un velo argilloso che cuoceva nel bianco (ingobbio) e che poi veniva rivestita dalla vetrina, ovvero da un rivestimento vitreo trasparente che serviva a proteggerla senza alterare i disegni e la colorazione. Questa doppia ricopertura, oltre a temperare la porosità della terracotta, permetteva, grazie al fondo bianco dell’ingobbio, decorazioni dipinte o graffite.
Sala 1: Il Dallari
UN CALICE DI VINO
Rinfrescatoio per bottiglia da tavola, maiolica, seconda metà del ‘700.
(Produzione Fabbrica Dallari)
Il rinfrescatoio con coperchio cilindrico e grande piede è stato modellato, come le due vicine zuppiere da brodo e da asciutto, sui più raffinati modelli dell’argenteria settecentesca.
Esibisce un’esuberante decorazione dipinta con un mazzo di fiori e foglie, stretti da un nastro color porpora. A stupire sono soprattutto le ricche tonalità dei rilievi floreali.
Era utilizzato sulla tavola, riempito di ghiaccio, neve o acqua fredda, per immergere la bottiglia di vino. Di solito veniva disposto ogni due ospiti.
Questo esemplare rappresenta una delle migliori produzioni del periodo di Giovanni Dallari, figlio del pioniere Giovanni Maria.
Notaio e abile ceramista nonché poeta, commediografo e politico, Giovanni ha provato a collocare la fabbrica in uno spirito cosmopolita grazie all’apporto di Pietro Lei, grande pittore, e Leopoldo Finck, ceramista d’origine viennese.ì
In tal modo il patrimonio tecnico e artistico crebbe fino a rendere la qualità di certi manufatti intramontabile. Questo rinfrescatoio è uno degli esempi più significativi.
Sala 1: Il Dallari
QUANDO LA BELLEZZA IMITA LA NATURA
Zuppiera da pesce, maiolica, anni ‘60 dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Dallari)
Cos’è la meraviglia se non la capacità di suscitare un moto vivo e inatteso di ammirazione e sorpresa?
Il Settecento esalta la moda, nata nel Rinascimento, di imitare le forme della natura attraverso la maiolica.
Vengono realizzati servizi che riproducono fattezze vegetali - zucche, cavoli -, ma anche zoomorfe - galline, tacchini, fagiani, anatre, oche, teste di cinghiali, maiali e cervi. L’apparecchiare e lo stare a tavola evolvono verso uno stadio di vibrante stupore.
Ne è un esempio la zuppiera con il coperchio a forma di pesce gallinella con le prese a pinna e il corpo ovale ornato da motivi a rilievo e dipinti.
A realizzarla è probabilmente lo “scultor celebre” livornese, forse di origini francesi, Pietro Giraud. Oltre alle innegabili qualità incantatorie, l’artista si mostra affetto da una forte irrequietezza. Lavora in diverse manifatture, a Lodi, Napoli, Faenza, Firenze, prima di arrivare a Sassuolo, nel 1765, a istruire i giovani apprendisti. Come già avvenuto in altre occasioni, dopo pochi mesi dall’ingaggio, fugge, questa volta abbandonando anche la moglie, a Nove di Bassano.
Nonostante la breve avventura in terra sassolese, il suo stile è riconoscibile in alcune figure di cinesi danzanti, ora al Museo Civico d’Arte di Modena e in collezione privata, e nello straordinario centrotavola con il Nettuno copiato dalla fontana disegnata da Gian Lorenzo Bernini per il Palazzo Ducale di Sassuolo, anche questo in collezione privata.
Sala 1: Il Dallari
DI FIORI E ALTRE MERAVIGLIE
Marescialla, maiolica, attorno agli anni ‘80 del Settecento
(Produzione Fabbrica Dallari)
Siamo verso la fine del diciottesimo secolo e Giovanni Maria Dallari chiama accanto a sé il figlio Giovanni, che accoglie in fabbrica l’amico Pietro Lei, reso celebre dalla sua attività di “primo pittore” a Pesaro presso la Callegari e Casali.
Le qualità del lavoro di questo artista sono visibili nel servizio di piatti esposti. Di pregio è il vassoio dal contorno orlato con prese a “pinna” che fa parte di una raccolta a “fiori e figura”, genere presente anche nel tariffario di fabbrica.
Gli ornamenti attingono da più mondi, più o meno immaginari. Mezze figure, cavalieri, animali, putti, pastori, ninfe, cavallucci marini, divinità mitologiche, coppie prendono vita in piatti e in vasetti di diversa forma e grandezza. Spesso occupano il centro di mazzi di fiori policromi - tulipani, anemoni, fiordalisi, non ti scordar di me, arnica.
In queste decorazioni possiamo distinguere due tipi d’esecuzione: fiori senza contorno, dipinti liberamente e chiamati “fiori fini” e “fiori e figure contornati”, nei quali il profilo è delineato da un segno in bruno di manganese.
IL VASSOIO PIÙ BELLO DEL REAME
Marescialla detta alla “sassone” con manici a forma di volpe, maiolica, dopo il 1782.
(Produzione Fabbrica Dallari)
Leopoldo Finck e il fratello Giuseppe, viennesi d’origine trapiantati a Bologna, sono i protagonisti di una produzione di ceramiche che, a metà Settecento, invade il mercato con grande successo, soprattutto negli strati alti della società locale.
Poi i due litigano e, nel 1788, Leopoldo si trasferisce a Sassuolo a lavorare per Giovanni Dallari. Gli cede i segreti dei colori per dipingere e per cuocere al “piccolo fuoco”, meglio noto come “terzo fuoco”, come risulta dal singolare “libretto dei segreti”, ora esposto alla Galleria Marca Corona.
Lui e il pittore Pietro Lei introducono nella manifattura Dallari non solo una ventata di rinnovamento tecnologico ma anche di forme, rappresentata dalla serie di piatti tondi esposti in questa teca sull’ultimo ripiano.
Leopoldo rimane a Sassuolo un anno circa, ma lascia lavori di notevole qualità. Probabile frutto della collaborazione con Pietro Lei è questo vassoio a forma rettangolare, con gli angoli smussati e le due prese a forma di volpe.
Oltre all’eleganza della forma, stupisce la decorazione. I fiori come la rosa detta “a cratere”, i garofani e il tulipano hanno caratteristiche esecutive identiche e sono attribuibili proprio alla mano di Lei.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
Il cambio di sala ci induce a raccontare la trasformazione che avviene anche alla guida e nella produzione della fabbrica sassolese.
Morto Giovanni Maria Dallari, la manifattura passa al figlio Giovanni, ma nel 1791 il governo ducale revoca l’esclusiva per la produzione di ceramica. Inoltre Pietro Lei apre una sua nuova manifattura. Il contraccolpo è gravissimo e la Fabbrica entra in crisi. Una situazione appesantita dall’arrivo, nel 1796, dei francesi. La Fabbrica, ora detta “Vecchia”, passa ai figli, Onorio, Odoardo e Costanzo, che continuano a produrre maiolica, ma soprattutto “terraglia”. La produzione prosegue grazie alla presenza di qualche buon formatore e buon pittore. Varie peripezie finanziarie, subentri di nuovi soci, l’unione delle due fabbriche, affitti e subaffitti definiscono un quadro sempre più confuso e, soprattutto, precario.
Il rientro a Modena dell’Arciduca d’Austria d’Este, nel 1815, fa sperare i Dallari nel ripristino dei vecchi privilegi, che sono sì concessi, ma con molte limitazioni.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
Teca 5
Nella prima teca sono esposti alcuni manufatti che documentano come, nonostante la crisi, la produzione si mantenga di un certo livello. Ne è un esempio il vaso per fiori in maiolica bianca con presa torchon e due anse a forma di testa di leone.
La Fabbrica, tuttavia, ha sempre i conti in rosso e molti lavoranti emigrano verso altre manifatture, come ad esempio a Scandiano, portando con sé il sapere acquisito.
L’autunno del 1835 spinge verso un ulteriore cambio: il conte Giovanni Francesco Maria Ferrari Moreni acquista la Fabbrica Vecchia, ormai in dissesto.
Ferrari Moreni dimostra intraprendenza e fiuto sia nelle scelte produttive che artistiche. La Fabbrica elabora raffinatezze formali che rispondono alle esigenze di una società molto conservatrice che privilegia il gusto in voga nelle città dell’Impero asburgico.
Il conte chiama plasticatori e pittori in parte formati all’Accademia di Belle Arti di Modena e propone impasti che studi recenti hanno rivelato essere tra i migliori d’Italia. Lo stesso vale per gli smalti, in particolare il bianco, che, grazie alla migliore qualità del piombo, ottengono la lucentezza per cui diverranno celebri.
Ne è un esempio questo piccolo vassoio a forma ellittica del secondo quarto dell’Ottocento. LA LUCE DEL BIANCO
Teca 6
Il catalogo di Ferrari Moreni presenta tipologie di prodotti molto lineari e sobri con qualche ammiccamento alla cineseria e alle mode antiquarie o che prevedono decori floreali bicromi, bianchi e blu, associati a giri di foglie e di bacche d’alloro, stemmi araldici, corone comitali, paesaggi inquadrati in cerchi.
La bicromia blu e bianca, che simbolizza i colori austro-estensi, è una forte dichiarazione di fedeltà al sovrano. In questa produzione spiccano il calamaio a forma di sarcofago, SCRIVERE FERMA IL TEMPO, l’anforetta all’antica L’ARTE DELLA PROPAGANDA e il lume da notte scomponibile UN LUME NELLA NOTTE.
Teca 7
Al centro del terzo ripiano, un alto vaso da farmacia a sviluppo cilindrico racconta gli esiti della fuga di pittori da Sassuolo verso altre manifatture. È il caso del pesarese Terenzio Rizzoli, il pittore delle raffinate cineserie degli ultimi Dallari, che, abbandonato Ferrari Moreni, nel 1837 trasferisce armi e bagagli nella piccola fornace di Lodovico Bocelli, a Scandiano, dove riprende a decorare firmandosi T.R.F..
Due oggetti di grande pregio rivelano invece il cambio di rotta nell’apparecchiatura della tavola che si diffonde in tutta Europa da fine Settecento. Sulle tovaglie spuntano infatti nuovi oggetti come queste tazzine da caffè CAFFÈ E TAZZINE PREZIOSE e i porta stuzzicadenti che riproducono alcune figure della commedia dell’arte LA TAVOLA SI FA STUZZICANTE.
Teca 8
Ma un nuovo avvicendamento si profila all’orizzonte. Tra il 1847 e il 1854 l’intraprendente ceramista Giovanni Maria Rubbiani acquista sia la Fabbrica, detta della “Terra rossa”, di Contrada Lei, sia la Fabbrica Vecchia. La produzione di ceramica sassolese ritorna così sotto un’unica proprietà. Rubbiani ha nel “valente pittore”, poi direttore di fabbrica, Domenico Bagnoli (1824-1889) di Correggio, e nel figlio scultore, Luigi, le guide che imprimono una decisa sterzata in senso revivalistico, orientata cioè verso motivi e mode del passato.
L’esempio del nuovo corso è visibile nel catino da barba UNA BARBA ELABORATA e nei pezzi in ceramica per farmacia esposti sul primo ripiano.
Nel 1856, con la morte del prediletto figlio Luigi, Giovanni Maria decide di separare i propri beni. Affida al maggiore, Carlo, la Fabbrica Vecchia che prende il nome di “Fabbrica Carlo Rubbiani”, e al fratello don Antonio, la direzione della “Fabbrica della Terra Rossa” di cui sono presenti, nell’ultimo ripiano, manufatti di pignatteria.
I due si adoperano per migliorare la produzione e le condizioni di lavoro degli operai. Non trascurano però il lato artistico e la formazione in fabbrica. Organizzano vivaci atelier con pittori e plasticatori di una certa levatura che aprono la Fabbrica a idee di bello più attuali e a tecnologie di fabbricazione più innovative.
Teca 9
La produzione si fa variegata e complessa e vede stili e materiali mescolarsi per dare vita a manufatti elaborati all’insegna di un piacevole revival del repertorio rinascimentale. Nel corso degli anni questo stile declina verso il floreale e verso oggetti di gusto più familiare.
Non è un caso che in questa teca si presentino l’alfa e l’omega della produzione Rubbiani: dallo sgabello di ispirazione orientaleggiante, caro ai gusti della prima fase di Bagnoli, alla monumentale colonna ottagonale del pittore fiorentino Carlo Casaltoli e del plastico Silvestro Barberini, foggiata per uno degli ambienti di rappresentanza di Palazzo Foresti, a Carpi, commissionata dall’industriale della canapa Pietro Foresti. UNA COLONNA DAL SAPORE DANNUNZIANO
Pezzi significativi che rappresentano i gusti di chi acquistava la ceramica di Sassuolo, ovvero una borghesia appena uscita dall’Unificazione e moderatamente attenta alle novità.
Teca 10
Nella produzione rubbianese appaiono prodotti dai tratti eclettici, in voga negli anni corrispondenti all’Unificazione nazionale. Le ceramiche sassolesi estendono il proprio mercato e partecipano con successo alle esposizioni provinciali, nazionali ed universali che caratterizzano i primi decenni di vita della giovane Nazione.
Ne sono un esempio i pezzi presenti in questa teca: da una parte mensole che riscuotono un gran successo di mercato, dall’altro il piatto tondo che raffigura una scena, al tempo molto nota, di Anita e Garibaldi, pendant di un alto vaso dalle forme mediorientali. Entrambi sono decorati secondo la tecnica inglese della decalcomania, un processo che permette di riportare su un supporto l’immagine da un foglio dipinto o impresso. Infine una coppia di mensole a forma di satiri, decisamente neorinascimentali, ancora ben modellate e ben colorite QUASI QUASI CI APPOGGIO UN VASO.
Teca 11
La zuppiera e il grande piatto da portata sono esempi di uno stile decorativo che prende piede a partire da metà Ottocento, detto, “Secondo Impero”, perché nato in Francia. Sono opera di Vittorio Neri, autore, a Modena, dei soffitti di alcuni tratti dei portici del centro dipinti in stile neorinascimentale. Lo stesso vale per il portafiori a vaschetta del modenese Silvestro Barberini che riporta invece una scena tratta, pare, dai Promessi sposi.
Curioso è il centrotavola a forma di borsa con funzione di porta giornali o portaoggetti. LA CERAMICA NEL QUOTIDIANO
Teca 12
Qui si ammirano altre opere di Silvestro Barberini: il centro tavola con il putto adagiato su una conchiglia e il vaso con foglie di calle applicate, forse la sua opera “verista” più bella. Di grande effetto sono anche i piatti tondi da parete con cornice decorata e un tondo in porcellana che rappresenta uno “Speziale” o un “Alchimista” firmati Casaltoli.
Ad affascinare è il grande vaso in maiolica ornato a grottesche e manici in terraglia L’UNIONE FA LA FORZA.
Teca 13
Della coppia artistica Barberini e Casaltoli sono anche i centrotavola con i due innamorati e la scena rustica della contadinella attorniata dai tacchini.
Casaltoli dipinge pure i primi pannelli di piastrelle decorate secondo il gusto liberty. Lasciata Sassuolo per rientrare a Firenze, diventa uno degli illustratori e cartellonisti più richiesti. Proprio a Firenze, per la Fornace Salvini, produce alcuni piatti decorati secondo i più aggiornati modelli europei. Purtroppo la morte prematura, nel 1905, interrompe una felicissima carriera.
Verso la fine del secolo a Sassuolo tutto è pronto a mutare: all’Esposizione di Bologna del 1888 e, soprattutto, a quella di Roma dell’anno successivo, vengono esposte non solo le fortunate targhe per la toponomastica stradale, ma anche un campione di piastrelle in maiolica. È la svolta che conduce al progressivo abbandono della produzione artistica a favore di quella industriale. Da lì in avanti saranno le piastrelle a farla da padrone. L’AVVENTO DELLA PIASTRELLA E DEL DISTRETTO SASSUOLESE
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
LA LUCE DEL BIANCO
Piccolo vassoio a forma ellittica, forse parte di un servizio da puerpera, terraglia, secondo quarto dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni).
Nel 1836 la fabbrica passa dai fratelli Dallari al conte Gio. Francesco Ferrari Moreni in condizioni finanziarie complesse.
Per sopravvivere il conte guarda ai modelli classici e del passato e alla produzione contemporanea savonese, inglese e soprattutto veneta.
Esponente di punta della nobiltà modenese, dimostra un’inaspettata tenacia e una certa abilità imprenditoriale. Nel riorganizzare la produzione chiama nuovi plasticatori e pittori formati all’Accademia di Belle Arti di Modena.
Propone impasti innovativi e l’uso più esteso della terraglia, da decenni praticato a Sassuolo, che recenti studi hanno stabilito essere tra le migliori della Penisola.
Lo stesso è per gli smalti. Il bianco raggiunge la lucentezza e la morbidezza che lo rendono celebre grazie alla maggiore quantità di piombo inserita nell’impasto.
Il catalogo di Ferrari Moreni offre tipologie di prodotti molto lineari, sobri ed eleganti, in linea con il gusto prediletto dalla famiglia arciducale. Il piatto esposto era completato da una tazza da brodo a forma ellittica componendo, forse, un servizio da puerpera.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
SCRIVERE FERMA IL TEMPO
Calamaio a forma di sarcofago, terraglia, anni Trenta dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Fontebasso, Treviso o Ferrari Moreni?)
Forse questo oggetto allude al potere che la scrittura avrebbe di sconfiggere il tempo, quasi che le parole create con l’inchiostro potessero durare più di colui o colei che le ha lasciate dietro di sé.
Si tratta di un calamaio in terraglia diviso in tre parti. Il coperchio riproduce un giovane dolente seduto con in mano la falce del tempo abbassata a rappresentare il tempo che scorre. Accanto si trova un’anfora porta penna.
L’interno è separato in tre vaschette: per la polvere o la sabbia e per l’inchiostro. La base è decorata con bordo sagomato, festoni, maschere a rilievo e piedi caprini. Sia la base che parte del coperchio sono finiti a “marmorizzazione” in azzurro.
Questo oggetto ricco di metafore e di allusioni proviene da una casa patrizia modenese e per questo già attribuito a Sassuolo, eppure una serie di studi portano a credere che sia stato prodotto dalla Fabbrica Fontebasso, la più nota e illustre manifattura ceramica ottocentesca di Treviso.
Altri pezzi della collezione e più recenti approfondimenti dimostrano quanto Ferrari Moreni sia stato particolarmente attratto e condizionato dallo stile delle manifatture venete, soprattutto di Este e Treviso.
L’ARTE DELLA PROPAGANDA
Anforetta all’antica, terraglia, terzo decennio dell’800
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni)
Il gusto antico, quasi archeologico, fa breccia nella produzione di Ferrari Moreni, anche se con un certo ritardo rispetto ad altre manifatture del tempo.
Tipica del gusto neoclassico è questa anforetta con rilievi ispirati a modelli caratteristici di Ercolano. Notevole è il gruppo delle danzatrici posto a corona, così come la forma dei due manici con rilievi e medaglione.
L’inclinazione per l’archeologia si ripresenta in numerose e svariate gamme decorative e testimonia dell’indirizzo estetico antiquario intrapreso dalla fabbrica sassolese.
Si tratta di un gusto che asseconda le mode tardo settecentesche, ma soprattutto le raccomandazioni e, forse, le volontà della corte arciducale reinsediata a Modena con la Restaurazione.
È soprattutto l’arciduchessa Maria Beatrice Vittoria di Savoia, capace pittrice a sua volta, a spingere in questa direzione. Diventata presidente dell’Accademia di Belle Arti, si prodiga infatti per guidarne gli indirizzi stilistici.
Le arti applicate divengono strumento di propaganda per uno dei governi più conservatori d’Italia. La vicinanza alla produzione della Fabbrica di Fontebasso di Treviso, territorio dell’Impero asburgico, è ulteriore testimonianza di come Ferrari Moreni sia stato uomo di corte e di fatto suo portavoce.
UN LUME NELLA NOTTE
Veilleuse scomponibile in tre pezzi, terraglia, secondo quarto dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni)
L’energia elettrica e le comodità della vita moderna erano di lì a venire.
Ecco perché questo oggetto rappresenta non solo un esempio di bellezza d’altri tempi, ma incarna pure lo spirito di un’epoca.
Questo tipo di lume da notte è un oggetto tipico del periodo che va dagli ultimi decenni del Settecento fino al termine dell’Ottocento.
Ha una doppia funzione: offrire una debole luce nelle ore notturne e allo stesso tempo mantenere calda una tisana o una bevanda.
Si compone di più pezzi: una teiera con coperchio - qui mancante -, una base cilindrica per sostenere la teiera e il godet, ossia una piccola vaschetta che ospita una candela o una stoppiniera per l’olio, e ancora più sotto un calamaio.
Esempio tipico della produzione da tardo impero della Ferrari Moreni, questo manufatto dalla forma cilindrica è ispirato ai modelli della Fabbrica Fontebasso di Treviso che presentano un ricco repertorio decorativo di festoni, mascheroni, trafori, palmette dipinte ed arpie in bianco e blu.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
CAFFÈ E TAZZINE PREZIOSE
Tazzine da caffè, terraglia, secondo quarto dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni)
Secondo le fonti storiche, già tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento, compaiono le prime tazze in maiolica, recipienti bassi con la bocca più larga del fondo, con o senza coperchio. Quando il caffè sbarca in Italia, nel diciassettesimo secolo, viene servito in tazze senza manico.
Solo dopo arriva anche il piattino che non solo serve da appoggio, ma anche per raffreddare il caffè. La bevanda viene versata e bevuta proprio dal piattino.
Poi questa strana usanza scompare a favore della tazzina che diventa non solo utile, ma anche veicolo di raffinatezza e stile.
Ne sono un esempio questi piatti e tazzine da caffè dalla forma cilindrica che fanno parte di eleganti servizi da tavola, decorati con intrecci floreali in bianco e blu, con cineserie neo-settecentesche, festoni neoclassici o paesaggi.
La forma cilindrica, così come la forma dei manici, è assai cara alla produzione pesarese o veneta.
LA TAVOLA SI FA STUZZICANTE
Porta stuzzicadenti, terraglia, 1846 ca.
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni)
In tutta Europa il tardo Settecento porta a un cambio di rotta nell’apparecchiatura della tavola. Sulle tovaglie spuntano nuovi oggetti in porcellana o in argento.
In un primo momento questi manufatti sono privilegio dei più ricchi, ma piano piano, grazie all’uso prima della maiolica, poi della terraglia, duttile all’impasto e facile da modellare, fanno capolino in un numero sempre più alto di case.
Nascono così arredi di supporto come mostardiere, spargitori per spezie e zucchero, ampolliere, saliere, appoggia coltello e, soprattutto, porta stuzzicadenti. Lo stuzzicadenti è uno strumento per l’igiene orale molto antico, spesso realizzato in legno o con la radice di una pianta aromatica.
È Ferrari Moreni a introdurre questi oggetti da tavola nella Fabbrica di Sassuolo. Nella “Tariffa generale” del 1846 appare infatti descritta una figuretta della commedia dell’arte in terraglia bianca o policroma descritta come “Porta netta denti Istrice”, “Porta netta denti Arlecchino” e “Porta netta denti Spagnoletto”.
Del terzetto qui esposto, uno è dipinto in policromia e ha una postura differente. Gli altri due oggetti, sempre in terraglia, anche se usciti dallo stesso stampo, presentano lievi diversità dovute a ritocchi fatti a mano prima della cottura.
Modelli simili sono esposti anche nelle raccolte del Museo Civico d’Arte di Modena.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
UNA BARBA ELABORATA
Catino da barba, maiolica, terzo quarto dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Ferrari Moreni)
Nell’Ottocento, grazie a strumenti più moderni e meno pericolosi, si diffonde un modo sempre più elaborato di portare la barba. Basette lunghe e baffi all’insù: sono questi i tratti che caratterizzano la moda maschile dell’epoca.
Per la pratica della rasatura, a supporto dei primi rasoi in acciaio e del sapone, si affacciano i catini da toilette.
Questo esposto è a forma tonda con la tesa molto larga e un incavo semicircolare sul bordo superiore per appoggiare il collo e radersi.
L’oggetto non è pensato per un uso professionale, ma per l’impiego quotidiano, a casa.
Di solito il servizio include anche una brocca per l’acqua calda. Entrambi portano lo stesso decoro. Questo modello è a reticella o a graticcio con una crocetta replicata.
Si tratta di un motivo ornamentale che riscuote molta fortuna anche in altre manifatture. A Sassuolo trova un largo impiego in diversi tipi di servizi da tavola.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
UNA COLONNA DAL SAPORE DANNUNZIANO
Colonna da centro porta vaso, maiolica, ultimo quarto dell’Ottocento
(Sassuolo, Fabbrica Carlo Rubbiani)
Con l’unificazione d’Italia nascono le esposizioni provinciali e nazionali. Sotto la direzione prima di Domenico Bagnoli e poi di Carlo Casaltoli, i prodotti Rubbiani compiono un grande salto qualitativo e si rivelano sempre più attenti alla moda del tempo.
Di questi fa parte una serie di elementi d’arredo dalle dimensioni monumentali in maiolica policroma ispirati alla produzione rinascimentale, così come i pannelli in piastrelle decorati con un mix di stili.
Le piastrelle si rivelano un incredibile successo. La ceramica entra di prepotenza negli arredi di ogni casa, soprattutto se altoborghese.
Ne è un esempio la colonna distinta in quattro parti di cui una, il vaso porta pianta, è andato perduto.
Il primo blocco è una base a forma ottagonale dipinta a lapislazzulo e arricchita da una voluminosa corona di fiori. Su questa s’incastra il tronco a stelo decorato con raffaellesche, lo stemma dei Rubbiani e una ghirlanda di testine di puttini ad altorilievo inclusi in clipei ornati da fiori e foglie.
Un insieme decorativo davvero complesso da attribuire a Carlo Casaltoli di cui, in questa sede e presso la Galleria Marca Corona e al Museo d’Arte di Modena, sono presenti altri pezzi di grande eleganza.
Sulla parte superiore una ghiera ottagonale chiude il blocco su cui s’appoggiava il perduto vaso/contenitore.
Ancora più interessante la committenza: la famiglia Foresti di Carpi. Si tratta di nobili divenuti poi industriali e grandi proprietari terrieri da cui nacque Pietro, noto collezionista d’arte, di cui, a Carpi, si conserva ancora la bella residenza. La colonna proviene proprio da questo palazzo come ricorda una nota dell’inventario datato “1893 - Una colonna con sopra grande vaso della fabbrica Rubbiani di Sassuolo. Bellissima pagata lire 450”.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
QUASI QUASI CI APPOGGIO UN VASO
Coppia di mensole a forma di satiri, maiolica, fine anni ‘50/primi ’60 dell’Ottocento.
(Produzione Fabbrica Giovanni Maria Rubbiani)
I satiri sono figure mitologiche. Hanno il corpo umano a cui si uniscono elementi animaleschi come orecchie, coda, zampe e talvolta corna caprine.
Queste mensole ne riproducono la forma e sono ancora ben modellate e ben colorite. A metà Ottocento rappresentano oggetti di un certo successo commerciale. Questi sono forse da assegnarsi alla mano di Luigi Rubbiani, terzogenito di Giovanni Maria Rubbiani, proprietario dal 1854 delle due fabbriche di ceramica al tempo presenti a Sassuolo
Luigi, diplomato con menzione in plastica e scultura all’Accademia Atestina di Belle Arti di Modena, produce vari manufatti ispirati al gusto eclettico e storicista tipici di questa fase di transizione dell’Italia Unita e molto apprezzati e richiesti dalla moda e dal mercato. Richiamano le fastose ceramiche rinascimentali che tanto successo e fama hanno dato alla maiolica italiana.
Luigi muore prematuramente e lascia una numerosa famiglia, adottata poi dallo zio don Antonio. L’attività passa al correggese Domenico Bagnoli che assume la direzione della Fabbrica Vecchia.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
LA CERAMICA NEL QUOTIDIANO
Centrotavola a forma di borsa (o “sporta”) a uso, forse, di porta giornali, terraglia, ultimo quarto dell’Ottocento.
(Produzione Fabbrica Rubbiani)
I Rubbiani, pur di offrire un sempre più ricco assortimento di oggetti in ceramica, estendono la produzione anche agli arredi e alla decorazione della casa.
Sono oggetti e ninnoli per tutte le tasche, proposti come centro tavola o soprammobili. Sono attenti ai gusti dell’epoca, quindi ai nostri occhi danno la sensazione di kitsch.
In tale produzione s’inserisce anche questa cestina, forse porta giornali, a forma di borsa, ispirata ai modelli più popolari e più diffusi nell’ambiente modenese e all’epoca realizzati in truciolo di Carpi. Prodotti, questi, molto eleganti e molto elaborati, soprattutto i cappelli, che fanno concorrenza a quelli di paglia di Firenze.
L’arte del truciolo, nata nel sedicesimo secolo a Carpi, consiste nel trarre dai tronchi di salice e di pioppo, delle paglie sottili - trucioli - uniformi per spessore, lunghezza e larghezza.
La meccanizzazione permette il lancio su vasta scala di questo prodotto che, una volta intrecciato a formare lunghe fettucce, garantisce la produzione di cappelli, borse e altro.
La fortuna dei cappelli, leggeri, economici, impermeabili e capaci di riparare dal calore della pianura padana ha risonanza anche all’estero grazie alle Esposizioni Nazionali e Internazionali e richiede un’organizzazione a basso costo che, nel dopoguerra, diviene importantissima per l’avvio dell’industria tessile della zona.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
L’UNIONE FA LA FORZA
Grande vaso ornamentale, maiolica e terraglia (manici), anni Ottanta dell’Ottocento
(Produzione Fabbrica Carlo Rubbiani)
Siamo negli anni Ottanta dell’Ottocento e la produzione di ceramica trova un nuovo impulso.
La Fabbrica di Carlo Rubbiani chiama a lavorare presso di sé pittori e plastici di talento ed esperienza che firmano i pezzi come opera d’autore.
Questo vaso rappresenta la ricca produzione di quel periodo che vede la collaborazione tra il plastico/pittore modenese Silvestro Barberini e il pittore fiorentino Carlo Casaltoli.
Barberini, allievo dell’Accademia di Belle Arti di Modena, a cui si devono i due manici del vaso, giunge alla Fabbrica Rubbiani attorno al 1885, poco dopo l’arrivo a Sassuolo di Casaltoli.
Assieme eseguono alcuni tra i migliori e monumentali manufatti della produzione sassolese dell’epoca, molto attenta alla moda e ai gusti imperanti.
Non per nulla Casaltoli sarà anche un grafico pubblicitario di successo e Barberini uno tra i più richiesti scultori della fine dell’Ottocento emiliano.
Sala 2: Il Conte Gio Ferrari e Giovanni Maria Rubbiani
L’AVVENTO DELLA PIASTRELLA E DEL DISTRETTO SASSUOLESE
Targhe e piastrelle da pareti, maiolica, fine Ottocento/primo quarto del Novecento
(Produzione Fabbrica Carlo Rubbiani e altri)
La piastrella nasce a Wedwood, in Inghilterra, attorno al 1840, quando Richard Prosser brevetta il metodo della pressatura a secco che permette di ridurre i tempi di essiccazione e contenere le deformazioni in fase di cottura.
Nel 1891, alla morte di Carlo Rubbiani, la fabbrica di Sassuolo è all’avanguardia nella produzione industriale di piastrelle in maiolica. Già maturati tecnicamente con la fabbricazione delle targhe stradali, i Rubbiani acquistano ed utilizzano la tecnologia della piastrella come elemento decorativo per ricoprire ampie superfici a imitazione dei ceramisti del passato come ricordano certi pannelli ancora presenti presso la Galleria Marca Corona e la Tomba Rubbiani nel cimitero di San Prospero a Sassuolo.
Il probabile debutto della piastrella sassolese è l’Esposizione di Bologna del 1888 e, soprattutto, l’Esposizione Nazionale Arte Ceramica e Vetraia presso il Museo Artistico Industriale di Roma nel 1889. Qui il “saggio di piastrelle in maiolica” per pavimenti e rivestimenti della Rubbiani, presentato al posto dei soliti vasi o suppellettili, suscita una certa diffidenza negli altri espositori ma grande curiosità tra i visitatori.
Il grande sforzo economico che il passaggio alla produzione industriale della piastrella comporta determina lo scioglimento della compagine amministrativa originaria. L’esperienza dei Rubbiani si rivela però anticipatrice della nascita e dello sviluppo di altre fabbriche che si insediano sul territorio e continuano a produrre piastrelle.